Dott.ssa Sarah di Lauro
Biologa nutrizionista
Studio a Salerno
E-mail: s.dilauro@hotmail.it


Terapie alimentari personalizzate per soggetti sani, patologici, donne in gravidanza e sportivi.

sabato 10 agosto 2013

Saltare la colazione: un'abitudine ormai diffusa




Quando la mattina l' italiano medio si sveglia, ci sono almeno un paio di situazioni classiche che si riscontrano molto facilmente:
  • un adulto che appena aperti gli occhi pensa già a tutte le commissioni che l'aspettano, la famiglia da organizzare, gli appuntamenti di lavoro a cui non può ritardare ecc... e quindi il livello di stress sale vertiginosamente;
  • un bambino/adolescente che appena sveglio, assonnato e con lo stomaco chiuso, non ha assolutamente voglia di affrontare la giornata e si alza ciondolando lentamente per recarsi a scuola.

Entrambe queste situazioni caricaturali però, hanno in comune la conclusione tipica: i soggetti, infatti, saltano la colazione.
Le cause più frequenti sono, quindi, la mancanza di tempo, voglia, fame e sempre più spesso la colazione diviene il pasto più sottovalutato, sostituito da innumerevoli caffè presi frettolosamente da parte dell'adulto e merendine o surrogati carichi di ogni tipo di conservante e colorante, presi nei distributori delle scuole per i ragazzi.

Questa però, purtroppo, non è da considerarsi solo una cattiva abitudine consolidata nel tempo ma è una vera e propria mancanza che comporta effetti a lungo termine sullo stato nutrizionale e, di conseguenza, sul benessere del soggetto.

Cosa succede quindi, a livello pratico, quando si salta la colazione?

  • Non viene aiutata la riduzione dei livelli plasmatici del colesterolo LDL (quello cattivo, responsabile dell'aterosclerosi e dell'instaurarsi di problemi cardiovascolari) che quindi, tende ad aumentare più facilmente;
  • Non vengono assunti macro e micronutrienti in quantità adeguate (quindi, soprattutto i ragazzi, vanno incontro a carenze vitaminiche e minerali come A, B6, D, calcio, ferro, ecc.);
  • Il potere saziante viene meno, ossia: si arriva affamati ad ora di pranzo, non riuscendo a regolare la quantità di calorie introdotte nei pasti successivi.
  • Drastico peggioramento delle performance nelle prime ore della giornata, con mancanza di concentrazione, diminuzione del livello attenzionale e di comprensione durante la lettura e l'ascolto.

Molto spesso, questo pasto viene saltato anche per ragioni estetiche (soprattutto nella popolazione femminile) nella illusoria speranza di dimagrire mentre al contrario, importanti studi dimostrano come questo si associ ad un aumento del proprio BMI.

E' consigliabile quindi, abituarsi a consumare una giusta colazione, volta a fornire al corpo la giusta dose di calorie e di energie. In questo, l'INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione) fornisce delle ottime linee guida:

A prescindere dal tipo di dieta seguita (quella più accettata è il modello Mediterraneo, ma ce ne sono di svariate tipologie, altrettanto valide), la colazione deve essere fatta in modo tale da permettere l'ingresso di circa il 25% delle calorie totali giornaliere e dovrebbe contenere, principalmente:

  • carboidrati (cereali, meglio se integrali in modo da migliorare, grazie alle fibre, la resistenza insulinica e la situazione intestinale; pane, frutta o altra fonte) 

  • proteine (latte e derivati sono la fonte più utilizzata, ma è possibile anche variare).

Una colazione completa e ricca, quindi, è ormai assodato che aiuti il benessere psicofisico e porti ad un migliore controllo della propria alimentazione nel corso della giornata. Di conseguenza, essa aiuta il corpo a gestire in modo opportuno il dispendio energetico.  


Bibliografia:
- Rampesaud G.C. Pereira MA, Girard BL, Adams J, Metzl JD, Breackfast habits, nutritional status, body weight, and academic performance in children and adolescent, J Am Diet Assoc., 2005; 105(5): 743 – 60.

- Nicklas TA, Reger C.Meyers L., O'Neil C, Breackfast consumption with and without vitamin-mineral supplement use favorably impacts daily nutrient intake of ninth-grade students. J Adolesc Health, 2000;27: 314-321.
http://www.inran.it

martedì 6 agosto 2013

Zucchero bianco o zucchero di canna, quale scegliere?

Quante volte è capitato che in un bar, di fronte ad un caffè, nel momento in cui porgiamo al nostro vicino la bustina di zucchero, lui ci guardi con aria di sufficienza, dicendoci: “No, grazie, io uso solo zucchero di canna...” e lo vediamo cercare sul bancone, ricolmo di  tutte le varietà esistenti, quello che, a suo avviso, sarebbe la più salutare.

Ma quante di queste persone che denigrano lo zucchero raffinato, sanno effettivamente come viene preparato e che differenze ci sono rispetto a quello di canna?

ZUCCHERO BIANCO


Le principali accuse rivolte allo zucchero bianco riguardano le trasformazioni che subisce durante la raffinazione. Partendo dalla barbabietola o dalla canna da zucchero, il processo prevede le seguenti tappe:

Prima fase:
  • Depurazione con latte di calce per distruggere sostanze organiche, enzimi e sali di calcio (il latte di calce però, viene del tutto eliminato nel prodotto finito);
  • Trattamento con anidride carbonica per eliminare, appunto, il latte di calce;
  • Trattamento con acido solforoso per schiarire il colore (i solfiti sono presenti solo in tracce alla fine del processo, ce ne sono quantitativi molto maggiori nel vino o nella birra);
  • Cottura, raffreddamento, cristallizzazione e centrifugazione.
Seconda fase:
  • Filtrazione e decolorazione con carbone animale (che si usa anche nella potabilizzazione delle acque)
  • Lavaggio con blu oltremare o blu indratene che è cancerogeno perchè proveniente dal catrame (in realtà è falso perchè sono  sostanze cancerogene, vietate per legge dal 1977)

Si ottiene cosi, lo zucchero raffinato che noi conosciamo.

ZUCCHERO DI CANNA



Sono presenti, svariati “falsi miti” sulle presunte proprietà benefiche dello zucchero di canna come per esempio, quello che esso contenga, rispetto allo zucchero raffinato:
  • una maggiore quantità di minerali e vitamine → FALSO. Le vitamine non sono presenti e la quantità di minerali è irrisoria rispetto al fabbisogno organico e quindi per soddisfare i bisogni dell'organismo si dovrebbero consumare quantitativi tali da causare rapidamente obesità ;
  • un minore apporto calorico → FALSO. Entrambe le tipologie, in quanto appartenenti ai carboidrati, forniscono 4 calorie per grammo;

In realtà quindi, lo zucchero viene sempre estratto dalla barbabietola e dalla canna dopo un processo di fotosintesi e le due tipologie hanno una molecola di base, cioè il saccarosio, che è assolutamente identica e subiscono anche il medesimo procedimento di lavorazione tranne quindi, nell'ultima parte, ossia nella raffinazione che manca nello zucchero di canna e che serve ad eliminare i residui vegetali di melassa che infatti sono responsabili il colorito giallastro tipico dello zucchero di canna mentre sono assenti nello zucchero normale che appare, di conseguenza, bianco e purificato.

Ecco come, in definitiva, è sempre da preferirsi la moderazione ed il consumo controllato piuttosto che affidarsi ad alternative nella vana speranza di avere “sconti” calorici o risultati più salutari.

Le linee guide dell'INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione) mostrano come, un suo consumo equilibrato di zucchero raffinato, non comporti danni comprovati come diabete, mal di testa, tumori ecc. 
Lo zucchero di canna, invece, può essere considerato come un'alternativa da preferire per una questione di gusto e senza sceglierlo per vantaggi di tipo nutrizionale.


Bibliografia:
“Ricciardi, Pacioni, Giacco, Rivellesi - “Manuale di nutrizione applicata”

lunedì 5 agosto 2013

Aperitivi, Happy hours ed alcool: le nuove tendenze



Recenti indagini dimostrano come, nei paesi occidentali, il consumo di alcool sia aumentato in modo consistente soprattutto in due fasce di popolazioni: tra i giovani in cui si è abbassata drasticamente l'età in cui si comincia a bere, e tra le donne.
Cambiano anche le abitudini e le modalità di consumo, che si adegua ai nuovi stili di vita: attualmente infatti, si preferisce un utilizzo moderato ma costante durante la settimana, magari sfruttando le occasioni sociali come i sempre più frequenti aperitivi serali.

Cosa comporta questo? Quali sono i danni a lungo termine?
Nei giovani: l'alcool interferisce con i processi di maturazione cerebrale, andando ad alterare la parte cognitiva con ripercussioni sulla memoria portando quindi a black-out, difficoltà di concentrazione, nervosismo ed astinenza;
Negli uomini adulti: probabili danni neurodegenerativi, cirrosi, infarti, abbassamento della soglia di aggressività;
Nelle donne adulte e non: il discorso si deve approfondire in quanto il sesso femminile ha una maggiore tendenza a sviluppare dipendenza, depressione e soprattutto, aumenta la possibilità di tumore al seno, con una soglia di comparsa che scende sotto i 50 anni.
Si sta diffondendo inoltre, una nuova forma di DCA (disturbo del comportamento alimentare) chiamata “drunkorexia” ossia la tendenza a mangiare sempre meno, sostituendo il cibo con l'alcool per non ingrassare ma questo comporta a lungo andare, sviluppo di carenze nutrizionali gravi che favoriscono l'insorgere di patologie ancora peggiori.

La differente tolleranza femminile all'alcool rispetto all'uomo è dovuta alla composizione corporea ed alla diversa distribuzione di grasso che è presente in quantità maggiore a discapito dell'acqua cellulare e di conseguenza, il grasso tende ad accumularsi più facilmente nel sangue.

L'alcool ingerito, dopo essere stato assorbito da stomaco ed intestino tenue, viene metabolizzato nel fegato in due fasi: 
- nella prima l'alcool è trasformato in un composto detto acetaldeide da un enzima chiamato ADH (alcool deidrogenasi) 
- nella seconda fase l'acetaldeide è convertita in acetato dall'enzima ALD (acetaldeide deidrogenasi). 
Se la quantità di alcool è eccessiva però, la trasformazione in acetato non riesce ad essere fatta dagli epatociti e quindi viene riversata acetaldeide nel sangue, che ad alte concentrazioni risulta tossica.
Ecco perchè quindi, è altamente sconsigliato bere a stomaco vuoto: la presenza di cibo, infatti, rallenta l'assorbimento da parte del fegato che riesce quindi a smaltire l'alcool nei giusti tempi.

Alla luce di quanto emerso quindi, è fondamentale cominciare un'opera preventiva di sensibilizzazione e di aggiornamento, soprattutto a partire dalle scuole, per far capire come quella che sembra essere una moda innocua, che consente una lieve abbassamento della soglia di inibizione con una facilitazione nei rapporti sociali, rappresenti in realtà un pericolo da non sottovalutare. 

Bibliografia
- Di Matteo J, Reed SC, Evans SM (2012) - Alcohol consumption as a function od dietary restraint and the menstrual cycle in moderate/heavy("atrisk") female drinkers. Eat Behav, 13(£):285-8.
- Gupta S and Warner J (2008) Alcohol-related dementia: a 21st-century silent epidemic? The British Journal of Psichiatry 193:351-353.
- Ely M, Hardy R, Longford NT, Wadsworth ME (1999). Gender differences in the relationship between alcohol consumption and drink problems are largely accounted for by body water. Alcohol Alcohol.; 34(6):894-902.

domenica 4 agosto 2013

I cibi grassi che aumentano il colesterolo: sono da eliminare del tutto?



Come purtroppo è ormai ben noto, molti degli alimenti che ci appaiono più appetitosi e gustosi si rivelano, in realtà, essere una fonte inesauribile oltre che di calorie, anche di sostanze che, nell'insieme, vanno ad incidere sul peso corporeo e sul metabolismo, andando ad alterare il mantenimento di quei parametri fisiologici determinanti per il benessere personale.

Appartengono a queste categorie alimentari a rischio, tutti i cibi contenenti i cosiddetti “grassi saturi”ossia quelli di origine animale come: il burro, le carni grasse, i formaggi e gli oli idrogenati (l'olio di palma e di cocco).
Cosa sono, quindi, i grassi saturi e perchè sono cosi dannosi per la salute?
Essi, insieme ai grassi monoinsaturi e polinsaturi, sono dei componenti dei trigliceridi, una categoria di lipidi responsabili della liberazione di grandi quantità di energia che viene sfruttata dalle cellule per portare avanti i propri processi metabolici oppure immagazzinata negli adipociti come riserva energetica per essere utilizzata all'occorrenza.

La loro presenza in eccesso è causa ormai conclamata di un aumento della produzione endogena di colesterolo da parte del fegato la quale porta, come conseguenza primaria, la predisposizione a malattie cardio-vascolari gravi come l'aterosclerosi, ossia il deposito di placche chiamate “ateromi” nella parete interna delle arterie. Questo fenomeno, se protratto nel tempo, provoca la diminuzione dell'elasticità delle pareti arteriose e la formazione di un blocco che ostruisce il flusso sanguigno. Tale ostruzione, in base alla localizzazione della placca ateromatosa, può portare a conseguenze gravi come lo sviluppo di infarto del miocardio o ictus cerebrale.

Tale aumento inoltre, non viene sempre rivelato a livello clinico basandosi solo sul dosaggio del colesterolo totale i cui valori possono risultare nella norma, ma viene invece, messo bene in evidenza andando a determinare il cosiddetto “colesterolo cattivo” LDL (responsabile del deposito del colesterolo sulle pareti arteriose e che può apparire oltre i valori soglia) oppure il “colesterolo buono” HDL (responsabile invece, della rimozione del colesterolo in eccesso dai vasi e che al contrario, può risultare troppo basso).

Sembrerebbe, dunque, scontato che la soluzione al problema sia l'eliminazione completa dei cibi incriminati, eppure non è necessario né produttivo arrivare a tali estremi: infatti una modesta quantità di grassi saturi è consentita in un corretto schema alimentare che prevede un equilibrio tra le diverse componenti lipidiche.
Attualmente la percentuale di lipidi consigliata nella dieta quotidiana è di circa 25-30% delle calorie totali con una distribuzione che prevede un una maggiore quantità di (circa il 20%) di grassi monoinsaturi, seguita poi dai grassi saturi e da quelli polinsaturi.
Questo risultato lo si può ottenere semplicemente, limitando l'uso di carni particolarmente grasse (per esempio, consumando carne rosse una volta a settimana o anche meno), condimenti eccessivi e troppo ricchi, preferendo ad esempio il latte parzialmente scremato, formaggi magri e carni bianche.

L' utilizzo di questi piccoli accorgimenti porta di sicuro ad un mantenimento, in condizioni non patologiche, di un ottimale equilibrio lipidico, salvaguardando la salute del soggetto dal rischio inutile di pericolose malattie.